È uno di quei casi in cui, anche se il colpevole sarà uno soltanto, la sconfitta è di tutti.
Il fatto nei suoi elementi principali è noto: nei primissimi giorni del 2025 il corpicino senza vita di un neonato è stato trovato dentro una culla termica nella chiesa di San Giovanni Battista a Bari. Le culle termiche neonatali, dette anche “culle per la vita” sono strutture predisposte per permettere alle mamme che intendono lasciare il proprio bambino in un luogo sicuro, dove verrà prontamente soccorso e accudito, senza essere viste ed in modo assolutamente anonimo. Lo scopo è quello di evitare che mamme che non vogliono far sapere a nessuno di avere avuto un figlio lo abbandonino per strada o peggio.
La normativa italiana (art. 30 d.p.r. n. 396/2000) prevede che una madre possa partorire in ospedale in totale anonimato: il nome della madre rimarrà per sempre segreto e nell’atto di nascita del bambino verrà scritto che la madre non vuole essere nominata. Questo anche se il parto avviene in ospedale. Purtroppo alcune madri, per diverse ragioni, non sopportano che nessuno, neppure il personale ospedaliero, venga a conoscenza della loro gravidanza.
Nessuna legge invece prende in considerazione espressamente le “culle per la vita”, che poi non sono altro la versione moderna delle “ruote degli esposti“.

Questo strumento nasce ufficialmente nel 1188, esattamente un secolo dopo arriva in Italia e viene utilizzato fino a quando il fascismo lo vieta – pur mantenendo il dovere di assistenza degli “esposti” – con l’art. 16 r.d. n. 2900/1923: “in tutti i brefotrofi ed istituti congeneri e nelle case di ricezione, mantenute dalle Provincie prive di brefotrofi, l’ammissione degli infanti esposti ha luogo per consegna diretta, escluso il sistema delle ruote”. Questa norma sarà abrogata dall’art. 1 all. 1 parte 36 d.lgs. n. 212/2010, ma già nel 1992 vennero messe in funzione strutture simili alle culle, i “cassonetti per la vita“.

Le culle per la vita moderne dovrebbero garantire confort momentaneo al neonato ed un sistema di immediata comunicazione della collocazione del bambino nella culla. Ma a Bari qualcosa pare essere andato storto. La situazione non è ancora chiara e le indagini sono in corso. Qualche media in relazione al decesso del bambino ha puntato il dito contro l’anonima madre (dando per verosimile che sia stata la madre a portare il bimbo alla culla), di cui ciascuno può dare un proprio giudizio morale, ma la cui responsabilità penale sul punto pare in realtà al momento non ipotizzabile, ovviamente a meno che la morte non sia dipesa dal comportamento precedente della donna, che poi abbia abbandonato il figlio già morto nella culla termica, oppure che il sistema di chiusura del vano della culla non sia stato azionato dalla stessa (così non attivando la comunicazione del deposito del bambino nella culla).

Sempre stando a quanto riferito dai media, la culla sarebbe stata dotata di un sistema di comunicazione collegato telefonicamente al cellulare del parroco della chiesa. Questi avrebbe riferito di un generico black out elettrico che qualche giorno prima avrebbe interessato la chiesa, per tentare di ricolvere il quale sarebbero intervenuti i tecnici che non sarebbero però riusciti a risolvere il problema: per tale ragione la telefonata di avviso di utilizzoa dela culla non sarebbe partita. Peraltro qualcuno avrebbe riferito che il sistema si era già mostrato difettoso in passato.

Orbene, al netto di eventuali imprecisioni nella ricostruzione dei fatti e tenendo presente che la questione rientra in un ambito che è estremamente dibattuto giuridicamente, sia dal punto di vista dottrinario che giurisprdenziale, si ritiene che possa emergere la responsabilità del parroco sulla base di quanto si spiega di seguito in maniera riassuntiva e considerata la natura del presente articolo.

Il reato di abbandono di minore aggravato da morte non può essere imputato alla madre, in quanto questa non ha messo un atto un reale atto di abbandono, ma ha affidato suo figlio ad una struttura da lei ritenuta (erroneamente, ma per errore non dovuto a sua colpa) idonea ad accoglierlo. Non è nota giurisprudenza che consideri situazioni identiche a quella del fatto di Bari, ma è interessante una sentenza su un caso tutto sommato analogo: “l’allontanamento consapevole e volontario della madre dall’ospedale ove si trova la bambina collocata nella “nursery” e dunque sotto il diretto controllo infermieristico non integra il delitto di abbandono di minore in quanto per la sussistenza del reato di cui all’art. 591 c.p. occorre che, in dipendenza dell’abbandono si crei uno stato, sia pur potenziale, di pericolo per l’incolumità della persona incapace” (trib. Milano, 10-1-2005).

Quanto al responsabile della struttura, ovvero il parroco, la situazione si complica. Tralasciando le teorie penalistiche, pur attinenti alla disamina ma che appesantirebbero questo scritto, si evidenzia la distinzione tra reato omissivo proprio, che si configura al solo mancato compimento di un’azione imposta dalla norma penale, e reato omissivo improprio, anche detto reato commissivo mediante omissione, consistente nel non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare. L’articolo 40 comma 2 c.p. dispone infatti che non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a causarlo. L’obbligo giuridico può trovare la sua fonte secondo la teoria del trifoglio: nella legge, nel contratto, nella precedente azione pericolosa ma anche nella volontiaria assunzione di una situazione creata da altri: come nel caso appunto della culla termica, con cui il responsabile offre a chiunque lo voglia un servizio di presa in carico in maniera sicura di un neonato, assumendosi con ciò la responsabilità, seppur temporaneamente, della custodia, della salute ed in generale della vita del bimbo e del suo pronto affidamento a sanitari ed autorità.

Per il responsabile della culla termica di Bari non si può ritenere il reato di abbandono di minore, che è reato esclusivamente doloso, quando nel comportamento del parroco non è sicuramente ed ovviamente rinvenibile alcun dolo di voler abbandonare il bambino. Invece una colpa nella gestione della culla non si può escludere, anzi, alla luce degli elementi per ora trapelati – ma che chiaramente devono essere confermati dalle indagini e dall’eventuale processo – potrebbe essere astrattamente ipotizzabile: infatti, quando anche il black out si fosse verificato e per giunta questo fosse la causa della mancata allerta telefonica del deposito del bambino nella culla, il responsabile della struttura, oltre a dover garantire la manutenzione del sistema di allarme, doveva monitorarne funzionamento, tanto più dopo il noto problema elettrico. E, effettuate le relative prove, se verificato che il sistema aveva delle falle avrebbe dovuto interdire e rendere non utilizzabile il servizio di collocazione di neonati nella culla.

Come dicevamo, seppure il comportamento del responsabile della culla termica non sia doloso, certamente può essere considerato colposo per la negligenza appena descritta. Quindi il reato di abbandono di minore non potrà essere applicato verso il sacerdote, ma dovrà valutarsi a suo carico quello di omicidio colposo, se la magistratura ne riterrà integrati gli elementi.