Si sa, giornalismo e giustizia sono di per sé forme elastiche di interpretazione dei fatti. Figuriamoci che può succedere quando si fa cronaca giudiziaria. Eppure in alcuni articoli scritti in questa materia talvolta yin e yang appaiono più netti delle strisce della maglia della Juventus: c’è il bianco, c’è il nero e di sfumature non dico cinquanta, ma nemmeno mezza. Così fa Repubblica on line parlando del processo per l’omicidio di Serena Mollicone, che finalmente, dopo quasi vent’anni di attesa, dovrebbe iniziare a marzo. In questo contesto fa capolino il presidente del tribunale di Cassino, Massimo Capurso: dice che, per far parte egli stesso della corte di assise che altrimenti non si potrebbe comporre per carenza di giudici con l’anzianità necessaria, rinvierà la pensione. Repubblica nel titolo dice addirittura che il magistrato “rinuncia alla pensione”. E già da qui si dovrebbe capire il livello dell’articolo, di cui la retorica non è l’unica pecca. Ma se l’esagerazione del titolo appare tanto enfatica quanto innocua, il problema sta invece nella narrazione della notizia, che avrebbe meritato un’analisi più critica, tecnica ed approfondita. Non è quello ogni professionista dell’informazione dovrebbe dare, soprattutto in pezzi su argomenti anche soltanto minimamente specialistici? Mi spiego. Credo che sfugga a molti non addetti ai lavori che l’utilizzo di un giudice prossimo alla pensione in un processo così delicato possa rivelarsi una possibile zavorra ottenendo l’effetto contrario a quello sperato. Ritengo che la notizia avrebbe dovuto essere data in maniera più critica, tecnica e approfondita: così Repubblica fa sembrare un regalo alla giustizia da parte del magistrato quello che invece potrebbe essere un involontario boomerang. Mi spiego. Viene dato risalto nel pezzo all’asserita abnegazione di questo magistrato mirata a non ritardare ancora la celebrazione di un processo importante, rinviato troppo a lungo e piagato da indagini inconcludenti. Purtroppo nell’ottica dell’accelerazione del procedimento il gesto può apparire, più che virtuoso, virtuale (se non controproducente). Basta infatti una piccola ricerca in rete per apprendere che Capurso è nato il 31 luglio 1952. Salvo errori dovrebbe dunque andare obbligatoriamente in pensione il 31 luglio 2022. Ciò significa che, partendo il processo di primo grado a marzo, esso dovrà concludersi in un anno e quattro mesi (ipotesi non affatto certa, vista la complessità del caso), altrimenti, verosimilmente (salvo improbabile “nulla osta” dei difensori degli imputati), quando verrà a mancare per pensionamento quel giudice tutta l’istruttoria già compiuta sarà annullata ed il processo dovrà ricominciare praticamente da zero. Quindi, paradossalmente ma realisticamente, l’utilizzo di Capurso come giudice potrebbe provocare un ulteriore allungamento del processo (appunto di un anno e quattro mesi) se il primo grado non si concludesse entro luglio 2022, facilitando così ulteriormente eventuali prescrizioni dei reati. Come dicevamo, un dono che può trasformarsi in un danno.
Caso Mollicone: il giudice che “rinuncia” alla pensione fa davvero un favore al processo?
da Gabriele Dallara | Gen 13, 2022 | Uncategorized | 0 commenti