“Non ci sono istruzioni per l’uso della vita, ognuno ha la sua matita, soltanto un po’ di buonsenso, soltanto un po’ di consenso”. In effetti, citando Laura Pausini, Enrico Letta di consenso ha bisogno, ma chi immaginava anche di quella matita che ha portato a casa come cimelio?
Matita non sua ma dello stato italiano, come è ovvio. E non destinata alla rottamazione, visto che quelle mille matite al giorno, nonostante qualche dubbio, pare venissero sanificate e riciclate.
Sì, perché rubare è peccato e, se vogliamo, anche reato. Si dirà, suvvia, una matita! In termini giuridici sussiste la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale ed ancor prima può essere considerata mancante la stessa offensività. Nonostante ciò, tralasciando che forse la componente simbolica del gesto appare più negativa che positiva per Letta, il furto di grafite può esser punito (o almeno perseguito) dall’ordine costituito. Per esempio le cronache giudiziarie dicono che per il ladrocinio di una matita (per occhi) si possa essere mandati a processo (come è successo a una sessantenne) e addirittura fuori dall’Italia (nel caso di una donna cinese). Certo la quantità fa: se le matite sottratte – anche se mezze matite – sono tante la denuncia dovrebbe essere messa in conto. Chissà se se lo aspettava però una coppia di Enna quanto ha fatto scorta di matitine targate Ikea, che apparentemente è pratica con un certo seguito sui social network, dove addirittura esiste un gruppo facebook dedicato. Se poi una cantante ruba una matita ai principi di Inghilterra, come ha fatto Camilla Cabello, capita che il fatto venga visto con regale indulgente dalle stesse vittime del delitto. E anche anche la letteratura per l’infanzia ha provveduto a sdoganare favolisticamente il comportamento con “Il ladro di matite” di Mario Tissone.
Comunque alle elezioni non conviene rubare lapis. Qualche anno fa si scatenò una caccia all’uomo casa per casa per tentare vanamente di ritrovare una matita sottratta ad un seggio. Ed anche Beppe Grillo, impadronitosi di una matita elettorale, fu seguito, raggiunto e costretto a restituire il bottino.
Del resto la legge è chiara: “L’elettore che non riconsegna una scheda o la matita è punito con la sanzione amministrativa da lire 200.000 a lire 600.000” (art. 110 d.p.r. 361 del 30 marzo 1957).
Con i politici che risultano sempre privilegiati, anche nelle piccolezze. Una norma analoga infatti non esiste per le votazioni espresse con l’ausilio della matita dai parlamentari elettori del presidente della repubblica: ma la sanzione è prevista invece per i comuni votanti quando li mandano ricoprire quel ruolo in parlamento.